Quando, nel 1907, gli archeologi Ernst Sellin e Carl Watzinger, scavando il Tell es-Sultan, una collinetta di detriti nella bassa valle del Giordano, si imbatterono in una doppia cinta di mura poderose, pensarono di trovarsi di fronte a Gerico, la prima delle città distrutte da Giosuè nella conquista della Palestina, per il semplice motivo che nella Bibbia si parla di mura. La cosa parve confermata nella campagna di scavi condotta da John Gerstang dal 1930 al 1936, durante la quale furono trovate le tracce di un vasto incendio, altro particolare menzionato dalla Bibbia (Gs.6,24). "Lo spazio fra le due mura, scrive il Gerstang, è riempito di macerie e di rottami. Si scorgono tracce evidenti di un vasto incendio, masse compatte di mattoni anneriti, pietre crepate, legname carbonizzato e cenere. Le case lungo il muro sono distrutte dal fuoco sino alle fondamenta, i tetti sono crollati sulle masserizie domestiche."
Sembrava non dovessero esserci più dubbi ormai, tanto che da allora Tell es Sultan fu identificato definitivamente con la Gerico di Giosuè. In una successiva campagna di scavi, effettuata con larghi mezzi nel 1952, l'archeologa inglese Kathleen Kenyon dimostrò che l'incendio in questione si era verificato nel 16° secolo a.C. e aveva segnato la distruzione definitiva della città, perché dopo di allora Tell es Sultan non fu mai più abitato in maniera permanente. Soltanto qualche beduino, di tanto in tanto, piantò le sue tende fra le antiche rovine.
Effetto duraturo della maledizione di Giosuè, che fece cospargere le rovine di sale, affinché non risorgesse mai più? Un'idea suggestiva, ma certamente falsa. Secondo la quasi totalità degli esegeti e degli storici, infatti, Giosuè iniziò la conquista della Palestina soltanto tre secoli dopo, nel 13° secolo a.C. Di diversa opinione è il Prof. E. Anati il quale, sulla base di importanti evidenze archeologiche, sostiene che Gerico fu distrutta da Giosuè quasi mille anni prima, nel 22.mo secolo a.C.: ci sono prove evidenti che la città che sorgeva sul Tell es Sultan subì un'ennesima distruzione proprio in quest'epoca.
Nessuna possibilità storica, invece, sembrerebbe sussistere sul fatto che Giosuè abbia invaso la Palestina nel 16° sec. a.C., all'epoca della distruzione definitiva di Tell es Sultan.
Ha ragione il prof. Anati, dunque? Pochi fra gli esegeti biblici condividono questa opinione. La maggioranza preferisce scaricare sul racconto biblico le conseguenze di questo evidente 'misfit' archeologico: "Quando Giosuè penetrò in Palestina, sostengono, le mura più famose della storia, quelle di Gerico, erano già crollate da secoli. Questa la evidente dimostrazione che la Bibbia è un racconto largamente simbolico, abborracciato e scarsamente attendibile da un punto di vista storico; essa, infatti, attribuisce al condottiero ebraico fatti accaduti in altra epoca e con altri protagonisti".
Esiste alternativa fra queste due posizioni estreme? A quanto pare c'è una terza possibilità, che gli storici e gli archeologi si ostinano ad ignorare, forse perché ormai la suggestione di quel nome, Jericho, stampata su tutte le carte geografiche e soprattutto le mappe turistiche, è troppo forte perché qualcuno osi metterla in discussione.
Ma a parte l'esistenza di mura (in doppia cinta, del resto, particolare importante non menzionato dalla Bibbia) e di tracce d'incendio, esistono altri elementi che concorrano ad indicare Tell es Sultan come la Gerico di Giosuè? E' ovvio che se il racconto biblico è puramente simbolico, è inutile cercare riscontri archeologici, in ogni caso arbitrari. Se invece si riconosce che il racconto abbia un fondamento storico, si riferisca cioè ad una distruzione reale di una città reale, indipendentemente all'epoca, dobbiamo ritenere che sia attendibile, almeno per quello che concerne le indicazioni topografiche, che non c'è ragione siano state modificate dalla tradizione.
Un ragionamento del genere è stato seguito a suo tempo con successo da Schliemann a proposito di Troia. Ma sembra che gli archeologi siano refrattari ad applicarlo alla Bibbia, almeno per quanto riguarda i primi cinque libri. Un esempio clamoroso in questo senso è dato dalla ubicazione di Sodoma e Gomorra, distrutte mediante il fuoco ai tempi di Abramo. Facevano parte di un gruppo di cinque città, la pentapoli, che gli esegeti, per una qualche misteriosa ragione, collocano nel bacino meridionale del Mar Morto.
Nonostante approfondite ricerche archeologiche, nessun resto di città anteriore al Medio Evo è mai stato trovato sulle sponde meridionali di questo mare, né è stata rinvenuta alcuna traccia da cui si possa desumere che una qualche città sia sorta nell'area attualmente occupata dalle acque. D'altra parte sembra geologicamente accertato che l'estensione del mar Morto non abbia subito modifiche sostanziali dalla fine del Pleistocene. Ciò nonostante si insiste nel voler collocare la Pentapoli in corrispondenza del bacino meridionale di questo mare, per la semplice ed unica ragione che qui l'acqua è ... poco profonda.
La cosa è tanto più sorprendente in quanto le indicazioni contenute in Genesi 13.8-13 sono talmente chiare ed esplicite da non lasciare adito al minimo dubbio: "Allora Lot alzò gli occhi ed osservò la valle del Giordano, perché era tutta irrigata prima che Jahweh distruggesse Sodoma e Gomorra, fino a Zoar. E Lot scelse per sè la valle del Giordano .. e risiedette nelle città della valle e prese dimora a Sodoma."
Questo esempio, uno dei tanti possibili, è particolarmente interessante perché l'ubicazione della Pentapoli è strettamente correlata, nelle indicazioni della Bibbia, a quella di Gerico. E' proprio qui, infatti, nella valle del Giordano, a nord del Mar Morto, che ai tempi di Giosuè ritroviamo due delle città della Pentapoli. La prima che incontriamo è Soar, la più piccola delle cinque, posta a pochi chilometri da Sodoma. Qualche secolo prima Lot, fuggendo da Sodoma, aveva chiesto a Jahweh di risparmiarla dalla distruzione e vi si era rifugiato. Alla vigilia della conquista della Palestina, la cittadina era ancora in piedi; lo testimonia lo stesso Mosè. Il grande profeta, prima di morire, era salito sul monte Nebo, per ammirare all'alto la Terra Promessa.
Due cime si contendono l'onore di questo nome: l'una, di 805 metri, si trova ad oriente del Mar Morto; dalla sua cima si gode una splendida vista di questo mare desolato, ma della Palestina, soprattutto quella settentrionale, si intravvede ben poca cosa. L'altra si trova circa a metà strada fra il lago di Tiberiade ed il Mar Morto e coi suoi 1113 metri domina l'intera valle del Giordano e tutta la Palestina, fino al Mediterraneo.
Di qui Mosè poté osservare distintamente "il Galaad fino a Dan (oltre il lago Tiberiade), tutto Neftali, il paese di Efraim e Manasse, tutto il paese di Giuda fino al Mediterraneo e l'intera valle di Gerico, fino a Soar" (Dt.34,1); e naturalmente Gerico stessa, che si trovava esattamente di fronte al monte, sull'altra sponda del Giordano.
L'altra città della Pentapoli che incontriamo in questa circostanza è Adama, che sorgeva alla confluenza del fiume Yabbok con il Giordano, proprio ai piedi del monte Nebo. Pochi chilometri a sud di Adama c'erano gli unici guadi del Giordano praticabili in ogni stagione. Tutte le carovane antiche dirette in Palestina transitavano di qui, e Giosuè non fece eccezione (Gs.3,16).
Sulla sponda palestinese, questi guadi erano controllati da Gerico, che doveva sorgere entro un raggio di pochi chilometri da essi. Secondo queste indicazioni, Gerico doveva trovarsi almeno venti chilometri più a nord di Tell es Sultan. Una conferma in questo senso è costituita dal fatto che, non appena oltrepassato il Giordano, gli Israeliti mieterono il grano nei dintorni di Gerico (Gs.2,21). Nella parte inferiore della valle del Giordano i cereali non possono essere coltivati, perché la depressione del Mar Morto rende il clima troppo torrido. La coltura del grano diventa possibile soltanto all'altezza dei guadi di Adama e pertanto Gerico doveva sorgere non a sud di questo limite.
Infine vari elementi nel testo (per esempio il fatto che l’esercito di Giosuè fece il giro delle mura, ovviamente fuori portata dalle armi dei gerichesi, per ben sette volte prima di sferrare l’attacco) e considerazioni di carattere militare inducono a ritenere che Gerico fosse più che altro un grosso villaggio fortificato, non una grande e poderosa città, come quella che era sorta secoli prima su Tell es Sultan.
Tutte le indicazioni contenute nella Bibbia, dunque, concorrono a smentire l'ipotesi così affrettatamente avanzata da Sellin e Watzinger nel 1907. Ma ormai Tell es Sultan è entrata nella leggenda, proprio col nome di Gerico, come la città più antica del mondo; nessuno, probabilmente, avrà mai l'ardire di toglierli questo nome glorioso per conferirlo ad altri più modesti siti archeologici, come ad esempio le rovine di H. Fasa-il, che meglio corrispondono alle indicazioni della Bibbia. Con buona pace di Giosuè.